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sexta-feira, 18 de julho de 2008

GIULIO TREMONTI, ministro dell'economia berlusconiano (ITALIA)

Corte Ue condanna il condono

fiscale di Tremonti: è frode


GENIO!!!


Dal sito http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=77225

Nuova condanna europea per l'Italia, questa volta sul vecchio condono fiscale di Tremonti, quello che con la Finanziaria 2003 condonava l'Iva non pagata per gli anni 1998-2001. Una misura molto propagandata dall'allora governo Berlusconi, molto contrastata dall'allora opposizione e che ora si scopre effettivamente in violazione delle norme che presiedono al buongoverno. La Corte di giustizia europea ha condannato infatti l'Italia perchè «la rinuncia generale e indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili favorisce i contribuenti di frode». Insomma era una frode al fisco, una ruberia legalizzata alle casse dello Stato. In pratica a entrare nel mirino della Corte europea è la legge del 27 dicembre 2002 che prevede per gli anni 1998-2001 la possibilità per i soggetti passivi per l'Iva di rettificare le dichiarazioni presentate attraverso una «dichiarazione integrativa».

La procedura di «definizione automatica» inventata da Tremonti consentiva ai soggetti passivi, che non avevano presentato la dichiarazione, di versare un importo corrispondente (o inferiore) al 2% dell'Iva dovuta sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi, ed un importo pari al 2% dell'Iva detratta nel medesimo periodo. Insomma una autoriduzione massiccia.

Attraverso il meccanismo non si pagava nessuna "multa", anzi c'era l'estinzione delle sanzioni amministrative tributarie, l'esclusione dell'applicazione al contribuente di sanzioni penali e come se non bastasse l'esclusione di ogni accertamento tributario, anche se fino al doppio dell'importo Iva che risultava nella dichiarazione integrativa riguardo a questa procedura. Una specie di invito a non pagarla.

La Corte europea fa notare che ogni stato membro ha l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative necessarie al fine di garantire che l'Iva dovuta nel suo territorio «sia interamente riscossa, verificando le dichiarazioni fiscali, calcolando l'imposta dovuta e garantendone la riscossione». Se è vero che gli stati membri beneficiano di una certa libertà nell'applicazione dei mezzi a loro disposizione, essi sono «tuttavia tenuti a garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della comunità e a non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti». Mentre la legge italiana induce «fortemente» i contribuenti o a dichiarare soltanto una parte del debito effettivamente dovuto o a versare una somma forfettaria «invece di un importo proporzionale al fatturato realizzato, evitando in tal modo qualunque accertamento o sanzione».

Lo dimostra «lo squilibrio significativo esistente tra gli importi effettivamente dovuti e quelli corrisposti dai contribuenti che beneficiano del condono fiscale conduce ad una quasi-esenzione fiscale». In base alle cifre fornite dall'Italia circa il 15% dei soggetti passivi, ossia quasi 800.000 di loro, avrebbero richiesto il beneficio del condono fiscale nel corso dell'anno 2001. L'entità di tale quasi-esenzione «pregiudica seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell'iva e danneggia il mercato comune poiché i contribuenti in Italia possono sperare di non dovere versare una considerevole parte degli oneri fiscali».

La Corte respinge anche la giustificazione avanzata dall'Italia - o meglio da Tremonti - che attribuisce al condono fiscale il merito di avere consentito all'erario di recuperare immediatamente e senza la necessità di avviare lunghi procedimenti giudiziari, una parte dell'Iva non dichiarata inizialmente: le famose misure "una tantum" che all'Europa hanno sempre fatto storcere il naso.

Questa in particolare, si fa presente, «introdotta appena dopo la scadenza dei termini entro cui i soggetti passivi avrebbero dovuto pagare l'Iva e implicante il pagamento di un importo assai modesto rispetto a quello effettivamente dovuto, consente ai soggetti passivi di sottrarsi definitivamente agli obblighi in materia di Iva perfino quando le autorità fiscali nazionali avrebbero potuto individuare le irregolarità». Cioè è proprio un invito a non pagare le tasse.

Di qui la condanna della «rinuncia generale e indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili relative all'Iva effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, tramite la quale la Repubblica italiana viola gli obblighi derivanti dalla sesta direttiva Iva e l'obbligo di leale cooperazione».

Commenta la notizia il ministro ombra dell'Economia, Pierluigi Bersani, secondo il quale si tratta di una «drammatica sconfessione delle politiche fiscali del centrodestra: viene contestato al governo Berlusconi - continua Bersani - di aver venduto la pelle di un orso che non era suo, ma soprattutto si condanna senza appello la pratica distruttiva e iniqua dei condoni. Adesso siamo di fronte a un problema che riguarda più di 900mila contribuenti e che pesa per 3 miliardi e mezzo di euro». Ora, conclude Bersani, il governo «dica subito cosa intende fare per ristabilire la legalità, come la Corte impone, senza danneggiare i contribuenti coinvolti in una scelta dissennata».

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